La battaglia di un missionario tra i disperati della parrocchia-discarica nelle Filippine – di BEPPE SEVERGNINI, Corriere della Sera
MANILA – Don Giovanni e il Commendatore. Niente Mozart. Sono opere che vanno in scena a Manila. Il Commendator Colombo va a dormire alle nove di sera e si alza alle tre del mattino, per vedere il Tg1 delle 20 in Italia. Il Commendator Colombo conosce tutte le stelle di Rai International. Il Commendator Colombo tiene un corso di cucina, e vende pasta aromatizzata (al pomodoro, al rosmarino, ai carciofi). Il Commendator Colombo gestisce «Amici miei», la pizzeria più popolare delle isole Filippine. Il Commendator Colombo stampa i libretti d’istruzioni per la Epson. Il Commendator Colombo produce agende e manifesti di Benedetto XVI, ed è felice che il copyright, da queste parti, sia un’opinione.
Il Commendator Gianluigi Colombo, a dire il vero, non è neppure un Commendatore, ma un padre salesiano: l’onorificenza gliel’ho assegnata io – idealmente, ma di cuore – perché un bustocco così bustocco non l’ho visto neppure a Busto Arsizio. In lui c’è tutto l’ottimismo imprenditoriale lombardo degli anni Sessanta, un periodo che in Italia è finito e dimenticato, ma nelle Filippine ha ancora un suo valore apostolico (mi hanno detto che un ingegnere italiano, nelle isole meridionali, è stato nominato sultano. Non so altro, ma è un tipo da conoscere).
Don Giovanni, invece, non è un sultano, non gestisce una pizzeria, non è un editore né un imprenditore: è un romantico pragmatico, di quelli che s’illudono che il mondo cambi; ma, nel frattempo, non stanno con le mani in mano, e cambiano qualcosa intorno a sé. Don Giovanni – padre canossiano – viene da Arzignano, Vicenza. È veneto, sembra veneto e ha un cognome veneto: Gentilin.