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Un futuro diverso per i bambini di Tondo. E per noi

Un futuro diverso per i bambini di Tondo. E per noi

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Un futuro diverso per i bambini di Tondo. E per noi

La testimonianza di MARCO VENTURA – Giornalista e scrittore

Impossibile illustrare quello che basta l’olfatto a descrivere. Tondo, il quartiere più surreale di Manila, vive (muore?) attorno a una montagna di rifiuti fumanti. Una montagna di fango e detriti che è al tempo stesso la casa impensabile di migliaia e migliaia di giovani disperati, a volte anche bambini, che traggono briciole di sopravvivenza da ciò che per gli altri è il cascame della vita. Roba da buttare. Sporcizia e spazzatura. Nel cuore di questo inferno di putrefazione, di questo ricettacolo di ogni malattia, a un passo dalle grotte scavate dai disperati nelle colline di detriti della megalopoli filippina, un uomo, un sacerdote, dirige una parrocchia. E’ padre Giovanni Gentilin, che parla delle sofferenza delle sue centinaia di migliaia di parrocchiani con la brutale disinvoltura di chi è uno di loro, forse più attrezzato, più responsabile, più organizzato. Ma uno di loro. Parla di malattie e violenze, della lotta quotidiana contro un degrado che ha raggiunto il punto più basso, molto al di sotto del livello di sussistenza dignitosa per un uomo, soprattutto per un bambino, e dell’entusiasmo col quale ogni giorno i suoi collaboratori e parrocchiani affrontano la delicata opera di ricostruzione interiore di una comunità umiliata, da buttare insieme ai rifiuti dei quali si ciba.

In questo scenario infernale, padre Gentilin riesce a coltivare una stentata fiammella di speranza: una parrocchia con classi di bambini calati in linde divise da collegiali, famiglie che nella chiesa vedono l’unica speranza di riscatto, nella chiesa e nell’aiuto che attraverso la chiesa arriva da così lontano. Che si alimenta della generosità e della passione di un gruppo di “amici di Tondo”.

Io a Tondo ci sono stato, anche se solo per pochissimo tempo. Un passaggio che mi è bastato a conservare nello sguardo (nella memoria) l’immagine di una miseria totale, abissale, inguaribile. Ma anche l’immagine di una redenzione quotidiana, di una tenace opera di rimonta rispetto alla vittoria della morte. L’immagine di un impegno autentico, e di una felicità che si spande attraverso piccoli gesti, piccola assistenza, minuziosa cura degli individui. Una mano che aiuta l’altra. Trovo bellissimo che nell’indifferenza del nostro dinamismo cieco, nella spirale che ci chiude nella cecità di una vita spesa, consumata in un lavoro senza più scopo, noi qui in Italia possiamo nutrire una speranza anche per noi, aiutando padre Giovanni ad aiutare quei bambini e quelle famiglie e tutta la povera gente di Tondo.

 

Trovo che sia una ricchezza per chiunque abbia adottato un bambino di Tondo, un dono che non si può mai meritare sino in fondo, la letterina nella quale lui o lei dice ogni anno qualcosa di sé, della propria famiglia, della scuola, della parrocchia, e la pagella con i voti sopra la sufficienza che colmano d’orgoglio “zii” e “zie” lontani. Basta davvero così poco per offrire una chance ai bambini adottati a distanza: un piccolo gesto di solidarietà che per noi è quasi nulla, mentre per loro è la vita. Sogno di veder sparire la montagna di rifiuti, tutto quel fango e fetore, quella fatica, quell’orrore fumante, quella ingiustizia… Sogno un futuro diverso per quei bambini che sono costretti a respirare i miasmi della Smokey Mountain, a scavare con le dita nella sozzura della metropoli. E invito infine tutti a impegnarsi un poco per padre Giovanni e la sua parrocchia. La parrocchia di Tondo. A prendersi cura dei suoi bambini, delle loro famiglie. E un po’ anche di noi stessi, per tenere viva la nostra capacità di amare.

 

Marco Ventura

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